Dopo un tempo infinito – il tempismo non è il mio forte – sono finalmente riuscita a mettere insieme una riflessione sull’incontro organizzato dal Centro Ado.T Sabato 11 marzo a Milano. Questo anche in previsione di un altro evento intitolato “AdottArti, arte terapia in sostegno al percorso adottivo” e offerto dall’associazione Art Therapy Italiana che si terrà Sabato 14 maggio sempre a Milano.
Ma tornando al Centro Ado.T, l’obbiettivo del seminario era (e cito dal volantino):
“Il seminario si propone di esplorare la funzione dell’Arte nella comunicazione e nell’elaborazione dei vissuti legati all’esperienza adottiva, attraverso il confronto fra tre artisti adottivi, il regista Jung, la creatrice di oggetti No&Ni e il pittore Red e gli psicologi e professionisti esperti di adozione Dante Ghezzi, Donatella Guidi e Paolo Limonta”
Il primo commento che mi viene da fare (che avevo espresso anche in sala, seppur un po’ tra le righe) è che fantasiosamente un incontro intitolato “Arte e Adozione. Il mondo dell’Arte incontra l’Adozione ” fosse presieduto da psicologi.
Ora, le parole si sprecano, ma viene un po’ da chiedersi: Chi incontrava chi? Era il mondo dell’arte ad incontrare l’adozione o l’adozione ad incontrare il mondo dell’arte? Erano i tre artisti a rappresentare il mondo? Perché il mondo dell’arte non è fatto solo di artisti.. E allora non sarebbe stato innovativo avere dei curatori presenti in sala?!? Qualcuno che fosse in grado di leggere opere da un punto di vista alternativo: uno storico dell’arte, un critico, un gallerista..?
L’adozione è indubbiamente esperienziale, ma costituisce non tanto la forza motrice, che sta nell’abbandono, quanto una condizione favorevole per lo sviluppo di un particolare interesse e in seguito la produzione di un genere d’arte. Le opere – quadri, abbigliamento, film d’animazione, sculture o lettere – ne sono la prova: l’adozione è un tema.
Il lavoro degli artisti, e sottolineo lavoro, era indubbiamente interessante; ma forse più che incontrarla l’adozione, il lavoro ne era infuso, vi si fondeva.
Un’incontro può essere superficiale, fortuito e breve. Non è il caso del lavoro di Jung, No&Ni (Noemie Linon) e Red (Francesco Redyet Longo), piuttosto il loro operato è un processo, un sodalizio: una fusione di arte e adozione.
Allora perché scindere ciò che è riuscito a diventare uno?
Perché dell’Arte con la A maiuscola si dovrebbe guardare tutto: il bello, il drammatico e il brutto. L’Arte va spacchettata, ciò che mette in piazza e ciò che elude. L’Arte si analizza – tutta – non solo il lato rassicurante, quello che fa comodo. Alcuni aspetti dell’Arte sono scomodi, reconditi o crudi e politici. L’Arte è sia perbene che feroce, è una rappresentazione perspicace, è evidenza ma anche denuncia.
Perché confinare l’argomento adozione? Perché leggere l’arte dei figli adottivi solo come – terapia o sostegno? Perché concentrarsi solo sul rapporto genitori e figli / figli e genitori? Come figli si è anche individui, si vive nel mondo e ci si rapporta con la massa.
Allora perché accontentarsi del minimo?
Arte è una parola importante. Se non si è in grado di apprezzarla nella sua interezza perché sfruttarne il nome? Se si è solo disposti a guardarla senza ‘vederla’ veramente, non sarebbe forse meglio appellarsi all’educazione artistica, alla comunicazione e all’educazione visiva?
Ma le mie sono solo domande..
alessia petrolito