My Adoptio(ego)centrism

Il saggio dello scrittore afroamericano James Baldwin  Notes of a Native Son, tradotto in italiano come Mio padre doveva essere bellissimo,  racconta il rapporto dell’autore con il padre. Il testo da titolo anche al volume, in cui Baldwin unisce il racconto autobiografico alla critica letteraria (poco realistica rispetto alle condizioni di vita dei neri americani) alle esperienze di viaggio negli Stati Uniti d’America, in Francia e Svizzera. Appropriandomi del paragrafo qui sotto, il mio intento è di leggere le parole di Baldwin dal punto  di vista di figlia adottiva ritornata al paese natale (che guarda caso son proprio gli Stati Uniti) e descrivere così l’impercettibilità dell’esperienza adozione: una differenza che giace sotto pelle.

Imparai [a Chicago, così come a Torino,] che essere [adottata] significa esattamente questo: che un[a] non è mai guardat[a], ma è semplicemente in balia dei riflessi che il colore della sua pelle [e la sua fisionomia] causa[no] negli altri. [1]

 

Così come per Baldwin… Per me è stato difficile accettare di non poter essere vista nella mia complessità, nella mia interezza, come Alessia,  oltre il genere e il colore di pelle… Tutti ma proprio tutti di me vedevano solo un pezzo… Eppure io:

Non sono solo donna.
Non sono solo nera.
Non sono solo italiana.
Non sono solo figlia,

e non solo adottiva…

 

 

Alessia Petrolito

Note

[1] “Imparai nel New Jersey che essere negro significa esattamente questo: che uno non è mai guardato, ma è semplicemente in balia dei riflessi che il colore della sua pelle causa negli altri” in James Baldwin, Mio padre doveva essere bellissimo (1955) Trad. Ludovica Ripa di Meana, Rizzoli, 1964, p. 84
Testo originale in Inglese: “I learned in New Jersey that to be a Negro meant, precisely, that one was never looked at but was simply at the mercy of the reflexes the color of one’s skin caused in other people.” In James Baldwin, Notes of a Native Son (1955), Beacon Press 1984, pp. 90