“essere ‘a posto’, a casa mia nel mondo”
E. W. Said, Sempre nel posto sbagliato (2009:306)
C’è sempre uno scarto tra chi torna e chi resta. Seppur diversamente tornare o ritornare non è mai facile, ci si trova sospesi, tra luoghi, tra abitudini, tra un passato presente e un presente che è già passato. Fuori posto, come e anche più di prima. Per un periodo o per la vita.
È difficile spiegare, o per meglio dire sintetizzare, esperienze di vita, di viaggio, di lavoro e di ricerca. Gli strumenti più utili, anche se non sempre efficaci, sono le citazioni e le metafore. Prendere in prestito i titoli o le opere di artisti e di scrittori che stimiamo per reinterpretarle può essere utile.
Nel saggio autobiografico, Sempre nel posto sbagliato (Out of Place, 1999), Said propone di pensare l’identità come forma di resistenza – quasi a sottintendere che la vita sia il numero di esperienze a cui “Bisogna Resistere per essere se stessi” (307); è anche da questa sua affermazione che ha preso forma la mia idea di abitare: del ‘fare casa’.
Ogni partenza inizia con una valigia, o uno scatolone. Per questo, ho iniziato a pensarvi non è tanto come ad un contenitore o un oggetto, ma come un ad simbolo: la valigia come bagaglio o spostamento.
Allo stesso tempo lo spostamento può non essere un viaggio da fare, ma frutto di un viaggio che è già stato fatto. Lo spazio in valigia non è mai abbastanza… L’idea, di per sé è già profondamente legata ai concetti di cernita e perdita: in una parola selezione. Per questo metaforicamente parlando si può pensare alla valigia come ad una lente o una cornice: uno strumento per la visione.
Quindi tornando al fare casa… A casa ci si dovrebbe poter sentire liberi di fare, liberi di essere, di creare… È un legame sottile quello tra casa e libertà: sono libera quando mi sento a casa e sono a casa quando mi sento libera.
Nelle ultime righe di Sempre nel posto sbagliato Said condivide con il lettore la sua soluzione alla propria indeterminatezza:“Date le dissonanze della mia vita, ho imparato a preferire la diversità e lo spaesamento.” (308) Egli ammette di aver trovato, nel proprio disagio una “forma di libertà”. Perché quel che succede quando non ci si sente liberi neanche a casa propria e che si cerca rifugio altrove, o nel proprio lavoro, e – nel caso degli artisti – nella propria arte. In un certo senso fare casa è costruirsi la propria libertà.
Fare casa nell’ Arte e in Accademia è ritagliarsi uno spazio – trovare luogo a se stessi – arredare il proprio studio, riflettersi nel proprio lavoro, nelle proprie opere, o specchiarsi in quelle altrui.
Alessia Petrolito
Riferimenti
E. W. Said, Sempre nel posto sbagliato. Autobiografia (Out of Place, 1999), Feltrinelli, 2009