Mettersi allo specchio, la ricerca introspettiva per eccellenza, quel fissarsi con o senza riconoscersi, guardarsi per vedere davvero… Il riflesso è raffigurazione, è un doppio, il simbolo dell’identità molteplice che risiede in un luogo ‘altro’, altrove, un’aldilà al di qua di cui lo specchio è finestra e cornice.
Per illustrare questa mia breve ‘riflessione’ sul riflesso ho preso a prestito – con il loro permesso – le immagini di quattro artiste molto diverse tra loro. Nonostante la differenza, le loro rappresentazioni racchiudono riferimenti, sensazioni e metafore comuni; similitudini che, a mio parere, ne arricchisco e incrementano il valore.
Pur operando diversamente in termini di concetto, metodologia e disciplina; l’interscambio tra realtà e finzione, vero e costruito, che sia pittura, disegno o fotografia, che siano disegni dal vero, pose involontarie o ricercate, il mio obbiettivo è mostrarne la somiglianza, intrinseca oltre che semantica. Una similitudine che non può derivare unicamente dall’implemento degli strumenti scelti – specchio e camera fotografica – che permettono di osservare il vero, fermare un momento.
Xhiv Bogart (Guatemala / USA), nel lavoro “Reflection” 2015, tratto dalla serie Existing in Between, in cui la Bogart si ritrae da un angolatura insolita – stretta e sbieca – mentre è intenta ad osservare se stessa nello specchio; un momento introspettivo, molto intimo, in cui l’osservatore si ritrova davanti due soggetti, due persone, ed è il riflesso di Bogart ad affrontarne lo sguardo. Lo sguardo intenso, fisso, leggermente cupo e quasi interrogativo. Bogart stava cercando di rappresentare visivamente il dibattito interiore in corso dentro di lei, e infatti mi scrive: “A quel tempo stavo esplorando la tensione e la pace all’interno del sè.”

Le sue intenzioni affiorano, palesi, nel segno tormentato e nell’uso i colori freddi; nell’insieme viene naturale paragonare “Reflection” al lavoro di Kate Sammons (Corea S. / USA) pittrice statunitense; nel suo “Self-Portrait in Mirror” 2016 ritroviamo l’autoritratto, che in confronto a quello di Bogart l’inquadratura è lineare. In Sammons vi è un’attenzione al dettaglio, nello sfondo, nella trama del vestito e nella restituzione delle luci.

Anche in Sammon è il riflesso ad interfacciarsi con l’osservatore, a sporgersi verso di esso, lo sguardo vacuo, un po’ sfuggente. Ben visibile nella mano è il dettaglio della chiave, forse un indizio per aprire un qualcosa… La posa di Sammons è innaturale, volutamente ricercata, una costruzione fantastica, lei stessa sottolinea come il rifugiarsi nell’immaginazione sia parte consistente della sua pratica artistica e spiega di non essere interessata a rappresentare particolari incognite identitarie, almeno intenzionalmente.
Pur utilizzando due stili differenti i lavori di Bogart e Sammons sono paragonabili e marcatamente figurativi; la prima materica ed espressiva mentre la seconda decisamente più tonale e formale.


Entrambe le rappresentazioni non si discostano molto dagli scatti di Laura Swanson (Corea S. / USA), tratto dalla serie HOPE NY iniziata nel 2011, e di Anh Đào Kolbe (Vietnam / USA), “Shattered personalities” 2004, un sapiente gioco di specchi, tratto dal progetto The Mirror Project. Nella nostra corrispondenza Swanson scrive : “In aggiunta alle supposizioni sulle dimensioni le foto HOPE NY guardano anche alla banalità e alla teatralità dell’estetica dei selfie. Quando l’identità è negata in un selfie, cosa rimane? ”
Swanson cela la propria identità con un gioco di vedo non vedo che smorza l’ordinarietà dello spazio e maschera la carenza d’informazioni.
Diversamente, Kolbe sottolinea come “Shattered personalities” ben descriva un particolare stato d’animo, un’identità frammentaria, difficile da tenere insieme, uno specchio rotto da ricomporre : “è un’analogia decente per un’adottiva/o che è stata/o rimossa/o dalla propria madrepatria senza aver dato il permesso, ma che riesce ad essere “intera/o” nonostante le imperfezioni.”
Le quattro indagini partono a monte da un comune denominatore, a cui si aggiungono la fascinazione del riflesso e la restituzione introspettiva dell’autoritratto oltre alle loro esperienze personali; ma alla fine, così come i riflessi, le loro riflessioni si dividono per esplorare molteplici dimensioni partecipative: quella del soggetto, dell’oggetto, dell’osservatore e talvolta anche dello spettatore.
Di seguito, le immagini sottostanti evidenziano una serie di richiami non intenzionali ai lavori precedentemente citati: la posa di Sammons ricorda quella di Kolbe, la posa di Bogart quella di Sammons, quella di Kolbe la posa di Swanson e viceversa… Sperimentazioni, punti di vista, simboli, composizioni, ancora una volta – comuni.



In “Self-Portrait with Hermes” la figura di Sammons rappresenta la sua partecipazione all’esperienza creativa e lo sperato confronto con l’osservatore; in “Blue Eyes” di Bogart l’autoritratto tratto da un episodio della sua infanzia con cui Bogart richiama l’adorazione per gli occhi azzurri della madre adottiva; in “Split Personalities” di Kolbe lo specchio rotto è stato un “happy accident”; mentre in HOPE NY #10 di Swanson il piede nello specchio è un’ironica contraddizione: un “anti-selfie”.

Le vediamo declinare, pur senza conoscersi, un tema congiunto (l’identità nello sguardo dell’altro e nel proprio), attraverso tecniche, stili e inquadrature scelte nell’intimità delle loro case, in bagno, in camera da letto. Di mezzo ci sono sempre uno specchio e un’obiettivo, tratti e intenzioni a volte simili, altre volte opposti… Attraverso il tempo e lo spazio di queste quattro artiste americane l’illusione ottica frutto della combinazione sguardo-specchio-camera si legge chiaramente nei loro lavori, con un’unica differenza in Swanson, dove un mancato incontro di sguardi tra lei e lo spettatore, semmai, ne sottolinea ancora più efficacemente la presenza.
Alessia Petrolito
RIFERIMENTI:
Davico Bonino, Guido (Io e l’altro – racconti fantastici sul doppio, 2004)
Umberto Eco (i saggi: “Opera aperta” 1962 e “Sugli specchi” 1985)
Franco La Cecla (Il Malinteso 1997, Perdersi 1988)
Otto Rank (Il doppio, 1979(2001))
Marinella Sclavi (Arte di Ascoltare e mondi possibili, 2003)
In relazione vedi anche: Specchio 1 e 2, Fotografi 2 , e Cornici 1