Best lecture ever! La lezione più bella che abbia mai sentito!!! E’ stato detto tutto quello che un adottivo si vorrebbe sentire dire, e messo al centro l’incubo più comune per le famiglie, cioè che esistono pochissimi, e sottolineo pochissimi, professionisti nel campo dell’adozione competenti, e che gli anni di servizio non sempre giocano a favore.
Ovviamente non credo questo abbia fatto piacere a tutti!!! Mi spiego, era una lezione a porte chiuse del dott. David Brodzinsky – il padre fondatore della psicologia dell’adozione – offerta dal Centro Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia (CASFR) della Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano [1] in cui si sottolineava la mancata preparazione specifica di dottori e operatori sociali per quanto riguarda l’adozione. Per ciò che ho potuto vedere, la platea era costituita da psicologhe e psicoterapeute, ricercatrici, operatrici, studentesse e non… Sarà stato per via della traduzione che per risparmiare tempo era più riassuntiva che consecutiva, ma la maggior parte delle professioniste in sala non mi sono sembrate così entusiaste!
Nonostante un luminare di quel calibro, già a metà intervento qualcheduna neanche prendeva appunti. Sfido io, mica facile sentirsi dire che molto probabilmente non sei competente e che, sintetizzando barbaramente, il compito di un qualsiasi professionista di qualsiasi grado davanti ad un caso d’adozione che sa di non poter gestire è ammettere di non essere competente e passare la palla, i soldi e il paziente a gente più capace.
A fine lezione in poche, giusto un paio, si sono avvicinate per due chiacchiere in confidenza, neanche una studentessa… E poi c’era chi come me, forse per non disturbare, se ne è andata via prima di quanto avesse voluto…
Comunque fallimento e messa in discussione non sono facili da mandar giù…
Dal canto mio, il momento domande – il momento clue – dove ottieni l’attenzione del tuo mito! Per di più un mito paziente, disponibile e aperto a soddisfare la curiosità del pubblico! Ed io, da brava fan, mi ero appuntata circa sei domande. Alzo la mano tutta sicura, aspetto il mio turno, mi si da la parola, mi alzo in piedi con la mia vistosissima maglia giallo ocra, e… mi scordo tutto! La frase, i vocaboli, la grammatica, il senso della la domanda; papocchio [2] un po’ e alla fine riesco a mettere insieme un qualcosa di quasi logico, anche se svuotato dall’essenza originale. Costellato di ahhh… mhmm and whatever… quando non mi venivano le parole… quello che stavo cercando di dire/chiedere era se, in futuro – essendo l’adozione e le esperienze che ne conseguono in continua evoluzione – il percorso da intraprendere per raggiungere quel livello che Brodzinsky definisce “Adoption Clinical Competence” [3] potesse involvere anche in un percorso educativo di tipo interdisciplinare, per non dire transdisciplinare e coinvolgere materie che attualmente non fanno parte della scienze sociali e umanistiche.
In ogni caso, ad onor del vero, la domanda non mi è uscita così bene da esser anche comprensibile; Brodzinsky cerca di rispondermi, si lancia a parlare dell’ecologia complessa, l’influenza della cultura sull’esperienza degli adottivi e i vantaggi di un ambiente multietnico… Dopo di che mi chiede se ha risposto alla mia domanda e… che vuoi dirgli no?! Dico un sì, strascicato poco convinto, e poi non resisto ed aggiungo not quite… Volevo specificare ulteriormente! Ma non ci sono riuscita – le gambe mi facevano ‘giacomo, giacomo’ – Perché diavolo mi sono alzata in piedi e perché diavolo non ho seguito gli schemi… Non volevo essere aggressiva e così I played dumb! Ammetto mestamente che intendevo far riferimento all’arte e lui, in risposta, ha lodato la produzione artistica e letteraria degli adottivi, soprattutto i memoirs, che negli ultimi vent’anni ha molto aiutato molto la ricerca e i professionisti…
Avevo un sacco di cose da dire, per un attimo ho provato a fare la soddisfatta ma dentro di me avrei voluto importunarlo ancora, dirgli chi ero… Poi mi sono detta: – no va beh, me le tengo per me… gli scrivo dopo… Sono andata via con quel pensiero e per tutto il ritorno mi sono applaudita da sola… per esserci stata ed aver alzato la mano e… Mi ci è voluta un’oretta e il dondolio del treno regionale che mi portava a casa per realizzare che stupida ero stata…
Avrei potuto incuriosirlo con la mia storia…
Scesa dal treno ho realizzato di non avergli neanche chiesto l’autografo… e dire che avevo portato il suo libro con quell’intento. Sono andata a dormire rimproverandomi per non aver sfruttato l’occasione.
***
L’indomani mi sono svegliata con una domanda: perché??? Sto sbagliando tutto! A voler essere presa in considerazione, a cercare l’appoggio del mondo accademico, a desiderare di farne parte, a starmene troppo sulle mie… a non migliorare la mia capacità espressiva, a far domande a vanvera…
Che poi, mi vien da dire, ma per la mia disciplina c’è davvero bisogno dell’appoggio dell’istituzione e della ricerca? Certo, per cercare di fare di qualcosa che amo un lavoro la legittimazione fa comodo! In Italia, all’Accademia di Belle Arti sei ben poco calcolato, se provi a dire mi interessa la ricerca ti chiedono in che senso, perché la ricerca nell’arte contemporanea la fanno solo gli artisti e i curatori, i ricercatori quasi non esistono, quando riesci ad ottenere un dottorato di ricerca all’università, pur scrivendo cose ammirabili per tre anni non ti calcola nessuno, e poi… Se te la cavi ‘forse’ c’è solo l’insegnamento, perché di progetti e articoli free-lance non si campa.
Alla fine, inizio a pensare che la mia domanda al dott. Brodzinsky non avesse senso, perché chiedere alla psicologia di guardare ai media, all’arte visiva e a quella performativa e viceversa; chiedere ad esse di capire l’adozione è uno sforzo che non dà seguito alla reciproca comprensione, come se fosse al di fuori dalle loro possibilità e competenze…
Forse la soluzione sta al centro, rivolgersi alle fondazioni, le fondazioni per l’arte, che poi ideona… lo fanno già tutti gli adottivi del mondo! L’hanno fatto ad esempio Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini con la Fondazione Merz per la mostra Messico Familiare (2010) a cura di Francesca Pasini e il supporto della Galleria Lia Rumma:
“La mostra è costruita attorno ad una riflessione personale sul concetto di famiglia, che nasce dalla memoria delle proprie origini e dalla recente esperienza di genitori adottivi. Gli artisti si interrogano inoltre sulla natura della famiglia “mista” che si confronta con il contesto sociale di un paese che dimostra sempre più diffidenza e paura verso la diversità.” – continua
Come ha detto Brodzinsky bisogna imparare a usare le varie realtà di sistema, a fare rete, sperimentare, essere aperti al fallimento, ad impapocchiarsi sul più bello con il tuo mito di sempre, ad accogliere ed incontrare nuovi professionisti, a provare e provare ancora senza l’ansia di dover arrivare al successo, alla fama, allo spiegare. Brodzinsky ha accennato alla necessità di ridefinire in chiave positiva il concetto di “need for help” chiedere o bisogno di aiuto, riconoscere il coraggio di chi lo ammette, la forza di chi lo fa presente. Aggiungerei anche che forse più di tutti ad essere rivalutato dovrebbe essere il concetto di incertezza, di vivere più o meno alla giornata, senza sapere dove si va, perché lo si fa, con chi, chi ci sarà di aiuto, e chi invece di ostacolo; tutto in divenire, senza pressioni, perché l’adozione è lunga una vita e va anche oltre; l’adozione è storia, cambia la storia di una famiglia, di un cognome – è imprevedibile perché assoggettata alle condizione umana del vivere la società e l’ambiente che la circonda.
Vivere d’incertezza e imprevedibilità, accettare di non sapere com’è iniziato tutto o come andrà a finire, di sentirsi liberi, legati o inchiodati al suolo, di essere stabilmente instabili o consapevolmente non ristabiliti.
Nello specifico, per me vorrebbe dire non andare a chiedere, direttamente o indirettamente, se ciò che faccio è legittimo e interessante, ma trovare solo il modo di parlarne e condividerlo sempre. Per questo, visto che di sicuro sto dicendo tutte cose già scritte o già dette, spero almeno di starle combinando tanto bene da farle sembrare quasi nuove.
Alessia Petrolito
[1] David Brodzinsky “Promoting Adoption Clinical Competence for Mental Health Professionals” Centro Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia (CASFR) della Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano 25/01/2018
[2] per cui intendo – fare pasticcio, impastocchiare, impiastricciarsi, far confusione, complicare –
[3] Non c’è una definizione specifica, Brodzinsky sostiene che sia consapevolezza mista a sensibilità della diversità e dell’unicità dell’esperienza dell’adozione, dei diversi traumi che provoca e degli interventi e le terapie applicabili. Dalla lezione di Brodzinsky:
“What is Adoption Clinical Competence:– An awareness of and sensitivity to the unique circumstances experienced by adopted children and their families (and birth families) prior to, during, and after adoptive family formation.– Knowledge of how to integrate adoption issue into a broader individual and family assessment and treatment planning.– Knowledge of trauma- and attachement-oriented interventions.– Knowledge of adoption- specific interventions.”