…per una narrazione etica – Pledge to Ethical Storytelling

Nel riportare una storia ci si assume un impegno, farlo è di estrema importanza e occorre saperlo fare correttamente.
Ethical Storytelling è un sito attraverso cui la comunità, costituita da organizzazioni senza scopo di lucro, attivisti, assistenti sociali, professionisti, ricercatori, film-maker, documentaristi, narratori e giornalisti, cerca e condivide nuovi standard e metodi di storytelling che valorizzino la produzione e il consumo consapevole delle storie che le loro professioni gli permettono di raccontare. Il loro obiettivo è restare aperti al confronto e all’apprendimento continuo. Sul sito sono disponibili vari contributi – podcast, articoli, vademecum e moduli per il consenso dell’uso delle immagini – ed è scaricabile il pledge: il manifesto con cui Ethical Storytelling afferma, e invita a sottoscrivere, il proprio impegno a sviluppare un nuovo approccio – sensibile e rispettoso – verso le storie delle persone che sceglie di raccontare.

Ethical Storytelling – Pledge in inglese è disponibile sul sito (http://ethicalstorytelling.com/pledge/), perché fosse fruibile anche in italiano ho pensato di tradurne, con il permesso loro, le varie voci.

LE STORIE SONO IMPORTANTI

Allora perché continuiamo a raccontare le storie di coloro che serviamo come se fossero monodimensionali?
Perché continuiamo a consumarne solo una versione?

Come gruppo eterogeneo di operatori e attivisti no profit, sopravvissuti e assistenti sociali, ricercatori e narratori, sappiamo di poterle raccontare meglio. E sappiamo di poter imparare a pretendere di più dai nostri narratori.
Siamo una piattaforma open source, ricca di sfumature, nella quale i costituenti hanno la precedenza sui donatori, che cerca collettivamente di cambiare il modo in cui raccontiamo e consumiamo storie.

Ci impegniamo a:

  • Raccontare le storie degli altri nel modo in cui vorremmo che la nostra storia venga raccontata.
  • Mettere sempre le persone al primo posto.
  • Spiegare ai protagonisti lo scopo della storia, dove verrà usata e rispondere a qualsiasi domanda che potrebbero avere prima di fotografare, filmare o registrare.
  • Trovare un traduttore abile se parliamo lingue diverse.
  • Chiedere al soggetto se desidera essere nominato o identificato e agire secondo i suoi desideri.
  • Utilizzare tutte le immagini e i messaggi con la piena comprensione, partecipazione e autorizzazione del soggetto o del suo tutore legale.
  • Promuovere la dignità dei nostri protagonisti attraverso immagini fortemente positive e messaggi che siano motivo di coinvolgimento e che ispirino speranza.
  • Rappresentare fedelmente una situazione o una storia per educare il nostro pubblico alle realtà, alle complessità e alle sfumature delle questioni che sosteniamo.
  • Non utilizzare immagini, filmati o parole che sensazionalizzino o stereotipino una persona o una situazione.
  • Richiedere un feedback ai nostri soggetti e incorporarlo nella storia finale.
  • Rispettare il diritto internazionale, le norme e i protocolli relativi alle persone vulnerabili, tra cui la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia – United Nations Convention on the Rights of the Child (CRC).
  • Ascoltare le voci dei protagonisti e rispettare le loro decisioni, storie e percorsi di vita.
  • Mantenere un atteggiamento umile e aperto all’apprendimento, riconoscendo che i fallimenti possono essere di grande insegnamento.
  • Chiedere consiglio quando non siamo sicuri se una particolare storia, messaggio o immagine è in allineamento con le pratiche di narrazione etica.
  • Non raccontare la storia, nonostante le risorse investite, nel caso questa non possa essere narrata con l’integrità necessaria richiesta da questo impegno.
  • Assumersi la responsabilità di mantenere l’integrità nella nostra narrazione e nella nostra messaggistica.

Come comunità di professionisti nonprofit e narratori, ci impegniamo ad imparare dal passato e ad integrare un nuovo standard narrativo che ci accompagni nel nostro viaggio collettivo nel futuro.

(Traduzione italiana mia con la collaborazione di Gabriele François Casini)

 

Dopo aver letto e assistito all’enfatizzazione di atteggiamenti perbenisti che esaltano il pietismo di alcuni italiani – caucasici – come salvatori e benefattori [1]; ho deciso di firmare il manifesto in modo da cercare, nel mio piccolo, di applicare e proporre un atteggiamento etico per le situazioni, le storie e i lavori che ho intenzione di raccontare.
Nel firmare e diffondere questo manifesto non è mia intenzione scoraggiare la solidarietà umana, quanto piuttosto invitare chiunque a diffidare di chi racconta, a gran voce, storie in terza persona cariche di pathos e sensazionalismo per il proprio tornaconto invece del valorizzare la storia e i protagonisti stessi. Firmare questo manifesto per me vuol dire, fare una promessa agli artisti con cui ho avuto il piacere di collaborare e di cui mi piacerebbe scrivere, vuol dire credere in un progetto, credere nel cambiamento e nel futuro che ciascuno costruisce a poco a poco, storia dopo storia.

Per cui invito chiunque lavori nel settore, e che per lavoro debba intervistare, scrivere e filmare storie, a scaricare il pledge e firmare per il proprio impegno – http://ethicalstorytelling.com/pledge/

 

1] vedi articolo “I nostri figli neri nell’estate del razzismo” intervista di Repubblica alla fondatrice dell’associazione Mamme per la pelle , madri adottive mobilitate per combattere i disagi e le discriminazioni subite dei propri figli. Le similitudini con la figura del white savior (per cui addirittura non esiste una pagina wikipedia in italiano) la cui percezione salvifica della persona bianca di buon cuore che accoglie, che accudisce e si fa paladina – pronta a tendere la mano alla povera persona di colore e a scambiare la solidarietà per pietismo – per poi scattare e diffondere foto stereotipate che, oltre che a ignorare la storia, le teorie post-coloniali e la politica economica alle origini di fenomeni come la migrazione e le società contemporanee multietniche e multiculturali, favoriscono il travisamento e la mistificazione di un atteggiamento politicamente scorretto. Un comportamento esasperato dall’intervento di Matteo Renzi in Senato del 20 agosto 2019 (con il riferimento anacronistico all’Alabama degli anni ’50 – In merito ritengo che chiunque si trovi a citare l’America di quegli anni senza fare un parallelo con le odierne politiche di Donald Trump sicuramente non ha la più pallida idea di cosa voglia dire vivere negli USA oggi – e all’articolo sopracitato) e dalla politica in genere come antidoto al razzismo ispirato dall’ex vice premier Matteo Salvini; reiterato poi dall’opinione pubblica che – malgrado le buone intenzioni – continua a perpetrare lo stesso approccio, ignorando il vero messaggio che si finisce per veicolare (vedi il linguaggio usato per l’articolo  “Trapani, bagnati alla mamma vu cumprà: ‘lascia con noi tua figlia e vai a lavorare tranquilla’” versus “Biniyam: ‘mi chiamano mangiabanane ma sono meglio di loro, non vinceranno'”, dove un figlio adottivo racconta gli insulti razzisti e le discriminazioni subite negli anni).

Riferimenti:

“L’allarme dei genitori adottivi razzismo contro i nostri figli” Maria Novella de Luca, La Repubblica, 5 agosto 2019
“I nostri figli neri nell’estate del razzismo” e “Biniyam: ‘mi chiamano mangiabanane ma sono meglio di loro, non vinceranno'” Maria Novella de Luca, La Repubblica, 6 agosto 2019
“Trapani, bagnati alla mamma vu cumprà: ‘lascia con noi tua figlia e vai a lavorare tranquilla’” Gabriella Persiani, Tgcom24Mediaset,  25 agosto 2019
Matteo Renzi- youtube channel

Approfondimento sull’uso mediatico della figura del white savior:
“Selling the White Savior Narrative: The Help and Theatrical Previews and US Movie Audiences” Kerry Wilson 22-41 in Mobilizad Identities Mediated Subjectivity and Cultural Crisis in the Neoliberal Era, C. McCarthy, A. KozmaK. Palma-MillanaoM. FitzpatrickN. Lamers (Eds.), Common Ground Publishing, 2014
– l’intervista Storyteller series a Gabriele François Casini, documentarista fotografo e fondatore della GC Production, di Heidi Burkey e Rachel Goble per Ethical Storytelling, sull’uso spropositato delle immagini di bambini di colore senza il consenso dei genitori.