Il “Nido-studio” – Sul disegno e la pittura

Sullo sfondo “Trittico delle malizie” 200x200cm / foto del 13 febbraio ore 18:30, 2020 – 76 Gallery

Ho ascoltato Gio Manzoni, disegnatore, raccontarsi nel corso della sua intervista sul canale LoveAdoption TV per la rubrica Cultura e Adozione (nel caso l’abbiate persa potete rivederla qui – vi invito a farlo perché è ricca di spunti e aneddoti personali e completa quanto scritto qui sotto); alcune delle domande che avevo intenzione di fargli hanno già trovato risposta, per cui questa sarà un’intervista un po’ atipica – per #passioneartelavoro.

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Non ti chiederò come è nata la tua passione per la pittura e gli ‘scarabocchi’ come li hai definiti tu, ma vorrei partire dalla tua definizione di solitudine come di “nido per la creatività”; nel video infatti accenni alla solitudine come una sorta di sviluppatore di talento e di come sia diventata un rifugio per te; hai mai condiviso questa passione, questa solitudine artistica, con tuo padre – anche lui appassionato di pittura? Vi capitava di disegnare e dipingere insieme?

Coltivare qualcosa che poteva essere fatto in solitudine e cercare di farlo in coppia è un ossimoro, eppure è Cesare che ha cercato di coltivare qualcosa come un bravo padre che fa con il figlio , eppure forse ha trovato un figlio che era più orso – ancora più di lui; io tendevo a scappare dal suo studio .. mentre lui mi regalava anche colori ad olio inodore .. forse per il timore che la trementina mi desse fastidio .. un gesto di molta cura capito da me solo anni anni dopo.

La Solitudine è una bella strana culla amara, non so se chiamarla utile… utile per il talento forse sì, utile per la persona forse no, o almeno per la psiche che ha bisogno di un confronto necessario, vitale… e forse quelli come me cercano di far parlare i loro segni su carta per primi o almeno nei primi anni di approccio .. ho sempre amato leggere di quando Norman Rockwell raccontava delle sue serate passate in compagnia di suo padre a disegnare assieme alla sera dopo cena ….. sì, sarebbe stato bello… ma forse sono semplicemente un orso bipolare in un clima troppo caldo.

Nel video parli anche all’opportunità di creare mondi “riempire i vuoti” che il disegno dà alla mente del disegnatore e racconti cosa te l’ha fatto scegliere come mezzo espressivo; negli anni ti è capitato di esplorare altre tecniche espressive?

Forse non sarò riconosciuto per la svariata gamma di tecniche, mi sono abbastanza fossilizzato sul disegno di base e lì forse sono rimasto certo mi piace vedere il disegno approdare su vari fronti – illustrazione, pittura, digital art, video, murales etc. – li ho sempre affrontati da disegnatore… e cerco di mescolare forse qualcosa nel mio disegno.

In alcuni tuoi lavori il nudo femminile è una parte preponderante della composizione; un’immagine che prende corpo, che si muove, si agita, salta, danza… Il nudo, che è poi il fulcro della tradizione classica a cui ti ispiri e che fondi con alcuni elementi della tua cultura d’origine, ha sempre fatto parte del tuo bagaglio artistico culturale o c’è stato un preciso momento in cui hai deciso di incorporarlo?

Il nudo è la base con cui ho iniziato a studiare e ho sempre trovato il corpo umano un incredibile architettura perfetta di cui noi appena e a malapena capiamo le basi strutturali di partenza, quello che conosciamo ora del corpo è forse l’equivalente di quello che conoscevano i Camuni della pittura ovvero gran poco… fra centinaia di secoli saranno stupiti i nostri nipoti nel sapere quanto poco sapevamo… e quanto poco applichiamo tutte le funzionalità reali del corpo… in fondo la conoscenza è tutto e io nel mio piccolo piccolissimo cerco di conoscere il corpo a modo mio… per alcuni sarà osceno per alcuni troppo esplicito… per alcuni accademico per altri ancora sarà inutile perché tanto non giriamo più con la carozza ( questa era una meravigliosa battuta di un professore di Brera quando gli ho chiesto se nel suo corso di pittura si poteva dipingere la modella ) è semplicemente un tentativo di conoscenza e della conoscenza non si butta via niente forse… Del maiale invece si deve salvare tutto… in primis la vita.

Sulle pareti del tuo studio e sul tuo sito si possono vedere disegni di grande dimensione, e tu stesso hai detto che ti ispiri alla pittura del ‘500 e del ‘600, da Michelangelo ai tre muralisti messicani, Orozco Rivera e Siquerios, e perfino i fumetti – ma anche alla tradizione scultorea boliviana Tiwanaku; quanto è stato importante per te poter aggiungere dei riferimenti iconografici provenienti dalla cultura latino americana in cui potersi riconoscere?

Oddio tocchi un tema di cui mi sento totalmente ignorante… ho comprato libri e libri per cercare di capire la vita di Michelangelo la sua vita, i suoi disegni, i suoi vizi e le sue virtù… mentre penso di aver comprato veramente pochissimi libri sulla Bolivia… Quello è il paese che mi ha reso orfano è il paese dove io non ho nessun parente… è controverso quando ti dicono che lì sono le tue origini… perché forse le radici devono avere dei momenti di legno coltivati cresciuti affondati in qualcosa… io in Bolivia non ho nulla di nulla né un parente né uno zio, nulla di nulla… solo ricordi di non ricordi… e il mio contatto con la Bolivia è semplicemente quello di un turista che l’ha vista per qualche mese, ovvero di un turista superficiale che ne rimane affascinato ma in modo totalmente estraneo… è stato importante lavorare col consolato boliviano e ringrazio Eva Chuquimia e Yara Morales… e Claudia Vanessa Soliz Romero per la collaborazione… è stato fondamentale perchè ho disegnato l’unica scultura boliviana che poteva forse essere una radice – ovvero la Coronilla, la scultura dedicata alle madri dove anni fa sono stato trovato in culla da quelli dell’orfanotrofio… quindi prettamente simbolica.

Giovanni Manzoni “L’adozione” – courtesy the Artist

Nel lavoro “L’adozione” reinterpreti l’iconografia della Madonna con il bambino unendo al tema della natività – molto sentito da noi adottivi – lo slogan umanitario (dal retroscena “velatamente” postcolonialista) su cui si fonda la pratica dell’adozione internazionale; mi piacerebbe sapere di che anno è; se hai avuto modo di esporlo e come è stato recepito?

Questo disegno ha circa 10 anni nato in comissione di una madonna classica e poi trasformato da me in studio solo per me… non ho mai amato la figura del Gesù ariano – biondo occhi azzurri – nato a Betlemme… quindi l’ho preso e gli ho messo dei lineamenti più vicino ai tuoi che a quelli classici… in modo da differenziare molto l’impatto visivo e a chiedersi perchè quella donna caucasica abbraccia quel bimbo come suo figlio, la risposta può essere solo adozione…

Per altro, questo tuo lavoro mi ricorda l’opera di Vanessa Beecroft “VBSS.002.MP o White Madonna With Twins” (2006) immagine scattata nel corso del South Sudan Project (2007) [1]. Trovo estremamente interessante e curioso che abbiate avuto la stessa risoluzione grafica pur partendo da due esperienze totalmente opposte. Mi hai detto che conosci il suo lavoro: hai familiarità con il progetto e le sue ripercussioni sulla vita dell’artista?

La conosco perché me ne parlavano molto quando facevo Brera, come ha fatto lei frequentavo la galleria Luciano Inga Pin dove lei ha tenuto la sua prima mostra , ma di connessioni vere ce ne sono poche… il mio è un disegno costruito, non reale, basato su di una idealizzazione – disegnata ma non reale; il suo quadro vivente di Madonna con gemelli è molto poetico ma allo stesso tempo lo sento molto lontano… sono due poesie molto diverse.

Bellissimo questo tuo motto “viaggiare solo per arte” puoi raccontarci uno dei viaggi più significativi?

Mi rifaccio a Goethe .. quando ci si muove .. bisogna importare ed esportare cultura .. se mi muovo per vedere le spiagge di Rio non esporto e non importo nulla… mentre se porto un progetto artistico do un motivo di esistere a quel viaggio .. so che tanti hanno bisogno di spostarsi anche di poco per stare bene .. forse sono fortunato perché io nel mio nido-studio ci trovo le migliori spiagge, i migliori paesaggi, i migliori fogli .. quelli che forse vorrei trovare viaggiando .. ma forse è solo la fantasia che vince sulla realtà…

Oltre al mondo onirico, ti capita di prendere spunto dalla letteratura dell’america latina? Ad esempio dal movimento del realismo magico o da altri meno conosciuti qui in Italia?

A questa domanda risponderò solo con un nome Alejandro Jodorowsky .. trovo magia la sua poesia e viceversa .. una reale magica poesia senza fine.

So che l’hai brevemente accennato nel video ma hai voglia di approfondire il discorso sulla Coronilla, l’opera pubblica boliviana dedicata alle madri guerriere, e il progetto murale realizzato a Bergamo con la collaborazione di Yara Morales?

Come dicevo prima è il monumento che mi ha fatto da culla, dove sono stato trovato, se ho una unica radice del paese bolivia viene da quella scultura; ed è stato simbolico dopo 40 anni trovarmi a disegnare in italia per conto del consolato boliviano proprio quella scultura .. come a ricercare quella radice un po’ troppo sbiadita .. il tutto mentre mio padre se ne stava andando .. non ho avuto tempo voglia umore per poter portarla a termine come volevo .. ma quando Cesare è andato tutto è rimasto sospeso e certe cose volevo che rimanessero sospese. 

Ti ho parlato degli Artisti dell’Adozione?! Artisti di varie nazionalità che come tema hanno scelto la propria storia adottiva; sei mai entrato in contatto con qualcuno che lavorasse sul tema?

Assolutamente no, ma sarei contento di poterli conoscere.

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Dalle tue parole traspare un’evasione trasognata, un uomo, un artista che cammina sulla linea tratteggiata dal proprio segno, in un territorio chiamato foglio, all’interno del suo nido-studio, un mondo in cui si cresce creando piani, mescolando colori e rompendo mine o accumulando trucioli di gomma e legno. Un luogo in cui accogliere, un luogo in cui eludere, dove prendere il fiato necessario fino alla prossima visita, fino al prossimo disegno.
Gio, grazie mille per questo piccolo viaggio.

Alessia Petrolito

Riferimenti

[1] L’immagine è poi diventata anche la copertina del controverso documentario “The Art Star and the Sudanese Twins” (2008) della filmmaker Pietra Brettkelly che in origine doveva raccontare la persona dietro l’artista, oltre il suo processo creativo, attraverso lo shooting fotografico in Sud Sudan; ha finito per documentare il tentativo dell’artista di adottare i due gemellini orfani di madre — lo scalpore mediatico suscitato dall’accanito desiderio di maternità sfociato poi in una controversia con il governo sudanese —- e riflettere sul senso etico dell’adozione internazionale quale azione umanitaria, il parallelismo con la tratta umana e gli strascichi del colonialismo. Dieci anni dopo l’articolo di Neville Wakefield “Vanessa Beecroft” (che raccontava il progetto e ne mostrava le foto poco prima di Natale) sempre su Flashart l’articolo di Clayton Campbell “Vanessa Beecroft and Pietra Brettkelly” (FlashArt 16Dec16) intervista entrambe in occasione della presentazione del documentario al Sundance Film Festival. Nel pezzo emergono due punti di vista totalmente opposti — la Beecroft si sofferma su quanto le riprese abbiano interferito con la sua vita privata:

“Pietra’s documentary has stripped me of any maternal qualities and she has neglected documenting the natural pace in which the event unfolded or my true commitment to that region and people.” —Vanessa Beecroft

la Brettkelly sul ruolo imparziale avuto nel restituire il reale svolgimento dei fatti e la complessa personalità dell’artista stessa:

“Vanessa’s life, her questions, the issues that dictate her and her work, the complexities of her family life are on-going. At this stage I would like to enjoy the film as it gets out to audiences, rather than consider at this stage any follow up.” — Pietra Brettkelly