
RAISIN
È il progetto curatoriale di Asha Iman Veal ispirato all’opera teatrale A Raisin in the Sun di Lorraine Hansberry che debuttò a Broadway nel 1959 raccontando le vicende di una famiglia nera americana a Chicago. Gli Younger alle prese con sogni, desideri di riscossa personale e un’eredità in arrivo, si scontrano con la realtà della segregazione residenziale. [1]
RAISIN ricorda l’eredità del lavoro di Hansberry analizzando la forza comunicativa che, a seguito del successo riscosso nel mondo, ha dato modo di tradurne lo spirito in trenta lingue dando voce e corpo alla solidarietà e alla lotta contro le ingiustizie negli Stati Uniti, in Europa, Cina e Sud Africa. Con RAISIN, il percorso attraverso 6018North la casa museo situata in Edgewater, uno tra i quartieri più aperti alla diversity a Chicago, offre al visitore una prospettiva contestualmente locale e globale del concetto di casa.
La mostra, visitabile dal 17 settembre al 18 dicembre 2021 presso 6018North, presenta artisti e artiste provenienti da diverse parti del mondo (Stati Uniti,Germania, Italia, Messico, Regno Unito e Australia) e un programma culturale, artist talks, visite guidate in mostra e molto altro grazie alla partnership con Chicago Architecture Biennia – The Available City (vedi il comunicato con il programma completo).
Tra gli artisti presentati ci sono anche io con l’opera Mis[s].
Mis[s] fa una riflessione sulle donne della famiglia Younger per far capire cosa significhi essere una donna nera e di come e quanto questo sia stato frainteso, omesso o mal tradotto dalla società statiunitense e italiana. Per creare quest’opera ho analizzato le varie traduzioni e trasposizioni della sceneggiatura, a cui col tempo ho pensato di accostare il saggio “Animale da Palcoscenico” (‘un animale spinto a recitare per il piacere di terzi’) della scrittrice e attivista culturale nera italiana Espérance Hakuzwimana di origini ruandesi. Questa contestualizzazione mi ha permesso di riformulare l’esperienza degli Younger (in quanto afroamericani) comprendendone sia le motivazioni che lo sguardo degli spettatori esterni alla commedia.
MIS è il prefisso di MIS/INTERPRET, MIS/SING E MIS/TRANSLATED. [2]
Sentimenti inespressi e intraducibili aleggiano sui personaggi di Lena, Ruth, Beneatha e persino sulla stessa Hansberry. La frustrazione, l’incomprensione, l’oggettificazione sessuale e lo stigma sociale uniscono le donne nere attraverso i luoghi, il tempo, le generazioni e persino la lingua e la cultura.
“Animale da palcoscenico per platee che non ti assomigliano, che non hanno niente a che fare con te, con i tuoi sogni, il tuo talento, i tuoi pensieri, il tuo vissuto, le tue capacità, il tuo dolore e la tua vita.”
© 2020 People S.r.l. and Espérance Hakuzwimana, pg.43
Per me, la contemporaneità espressa nel saggio di Espérance Hakuzwimana condivide l’essenza e arguzia politica della drammaturgia di Hansberry. Una consapevolezza insita nelle donne nere, ricercate per lo spettacolo quasi come fossero animali da palcoscenico (che in inglese viene tradotto con show whores – insaziabili e/o pagate per stare sul palco per darci ‘piacere’), prede fagocitate dalle industrie dell’intrattenimento.
“Mi ero creduta predatore ed ero rimasta preda, animale da palcoscenico per uno spettacolo che avevo scritto io ma che avrebbero dovuto capire, guardare e giudicare loro. Come sempre.”
© 2020 People s.r.l. and Espérance Hakuzwimana, pg.45

CON IL MIO CONTRIBUTO ALLA MOSTRA, DESIDERO DIMOSTRARE COME PIU’ INTRECCI DI TRADUZIONI POSSANO PORTARE LUCE SULL’OSCURITÀ DEL FRAINTENDIMENTO, L’INTERPRETAZIONE OMESSA, ERRATA o MANCANTE.
L’intera installazione è composta da stampe su carta e cotone, quattro pezzi intitolati: Mis[s] (Mancare o Signorina), Hands (Mani) , Raisin Twist (Intrecci di uva passa) e Pushed to Perform (Spinte a esibirsi). L’insieme combina l’appropriazione di un’immagine dalla produzione cinematografica dell’opera teatrale originale agli estratti del testo E POI BASTA – Manifesto di una donna nera di Espérance Hakuzwimana (prima edizione pubblicata nel 2019, da People S.r.l.) tradotti da Gabriela D’Addario.
Vale la pena sottolineare come sia significativa la diversificazione della traduzione italiana del titolo, A Raisin in the Sun, trasformata in “Un grappolo di sole” letteralmente “A Grape of Sun”. [3]
Il titolo italiano rimuove ogni riferimento al processo di essiccamento-disidratazione a cui l’opera fa riferimento, inaridisce il significato diminuendo il legame tra sogno e lotta rivendicato nell’esperienza nera contrariamente a quanto fatto dalla letteratura afroamericana di riferimento e alla metafora di raisin (uva passa, uva sultanina) così come interpretata nella poesia di Langston Hughes “Harlem”.
Ancora una volta, il mio interesse si estende all’analisi della pratica del fraintendimento (della cattiva traduzione) come forma, spesso intenzionale, di manipolazione dei contenuti; una revisione che sfrutta la sottile linea tra adattamento politico e culturale “nell’interesse” del pubblico. Analizzando le versioni italiane dell’opera teatrale, il doppiaggio cinematografico e la traduzione del copione [4], ho scoperto aspetti mancanti della femminilità nera; ed in particolare come gesti e concetti – intrisi di una forte valenza e struttura sociale e culturale per le comunità afroamericane tipiche della filiazione, del matrimonio e della maternità – siano stati sminuiti, censurati, traslasciti o sfocati. [5]

Forse prevedendo un’ampia ricezione della propria opera, Hansberry scrisse del linguaggio, e per l’appunto della traduzione, attraverso un personaggio multilingue Joseph Asagai:
“Beh, vediamo un momento, non so se riuscirò a spiegarlo… Il senso delle cose è molto diverso quando si cerca di tradurle in un’altra lingua”. [6]
In ultimo, se avete tempo e voglia andate a dare un’occhiata al catalogo digitale ed in particolare alle pagine dell’artista Marina Cavadini (Milano) e Kierah “Kiki” King (Chicago) con cui presenterò il lavoro e la mostra in un momento di confronto virtuale il 12 novembre 2021 (info al seguente link) nell’ambito di The Available City e diffuso su Lumpen Radio.
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Sinceri ringraziamenti ad Asha per l’opportunità, ad Espérance Hakuzwimana, Gabriela D’Addario e People S.r.l. per il loro contributo.
A questo proposito, nel video accenno a come le espressioni artistiche e letterarie di tanti artisti e musicisti stiano espandendo e parlando d’arte, sempre con una nota femminista. Voglio citare il lavoro e la ricerca artistica di Johanne Affricot, Silvia Rosi, Adji Dieye, Binta Diaw, Daphne Di Cinto e Ariam tekle.
Inoltre, mi sento di citarne almeno altri 6 di altre autrici afro discendenti e non: Pecore nere di Gabriela Kuruvilla, Igiaba Scego, Ingy Mubiayi e Laila Wadia (2005); La mia casa è dove sono di Igiaba Scego (2010); Nati sotto una buona stella di Laura Pensini (2015); Sangue giusto di Francesca Melandri (2017); Ladri di denti di Djarah Kan (2020); L’unica persona nera nella stanza di Nadeesha D. Uyangoda (2021); e aggiungo Bamboo Hirst, Cristina Ali Farah, Angelica Pesarini, Marilena Umuhoza Delli, Oiza Q. Obasuyi e Anna Osei che devo ancora leggere. La lista è lunga e finalmente in continua evoluzione…
Grazie a tutte voi per il lavoro che fate e le riflessioni che mettete in campo, pur non sapendolo negli anni mi avete regalato tanto.
Alessia Petrolito
Note
[1] Asha Iman Veal, Associate professor a SAIC – School of the Art Institute of Chicago, Curatorial Fellow al Museum of Contemporary Photography e al Columbia College Chicago, e a Humanity in Action Landecker Democracy Fellow (EU/UK/USA).
Per informazioni su Lorraine Hansberry, scrittrice e drammaturga statiunitense prematuramente scomparsa leggere (in inglese) :
- https://www.nytimes.com/2018/01/12/arts/television/lorraine-hansberry-sighted-eyes-feeling-heart.html
- https://studsterkel.wfmt.com/programs/lorraine-hansberry-discusses-her-play-raisin-sun
[2] Mis – erronea, mancanza di | Mis[s] più errori, più mancanze; Misinterpret – fraintendere ; Missing – mancante, senza voce; Mistranslated – tradurre in modo improprio.
[3] L’opinione della critica italiana sull’adattamento cinematografico di Daniel Petrie apparsa su Segnalazioni Cinematografiche ( volume 50) nel 1961 su Fondazione Ente dello Spettacolo. Vedi sotto anche la recensione tratta da Il Dramma (37° anno fasc.297 1961pg36) dall’Archivio del Teatro Stabile di Torino e la fotocopia della preview per la messa in onda nella pagina del Radiocorriere (fasc.45, 1975 pg66) fonte Mediateca Rai – Centro documentazione Dino Villani,Torino.
[4] “Un grappolo di sole”, copione Italiano tradotto da Ettore Caprioli per GTTempo disponibile anche su Corriere spettacolo
[5] Dal copione originale, alla trasposizione teatrale e poi cinematografica fino al doppiaggio italiano… Si sono andate a perdere, sottigliezze, sfumature e poi interi personaggi, scene: In particolare con il doppiaggio italiano si nota la mancaza degli accenti, sfuma l’attenzione storica per la ricerca culturale e identitaria riposta dalla sceneggiatrice nel vestito della sorella di Asagai donato a Beneatha; i personaggi femminili ne escono trasformati, limati per non dire limitati, Beneatha è meno ironica e irrispettosa; Ruth è più sottomessa; ma, al contrario, la preferenza di Lena verso Walter Lee viene è esaltata. Scompare del tutto il personaggio della sig.ra Johnson e il livore per l’imminente trasferimento degli Youngers; si perde il discorso tra George Murchinson, Ruth e Benetha sul desiderio di quest’ultima di mantenere i capelli naturali, sparisce il binomio libertà-dignità che diventa libertà di spesa e passa inosservata l’importanza sociale che l’educazione scolastica ha per una famiglia afroamericana soprattutto per una donna; si perdono tratti importanti del cosa vuol dire essere figlia, diventare moglie e madre (si smorzano le tenerezze che Ruth riserva al figlio – ma anche aspetti della paternità tra Walter Lee e Travis), si sorvola sulla scelta e il peso della rinuncia alla maternità anche rispetto ai vari credi religiosi nella comunità nera americana e molto altro…
Tutto questo è successo più di cinquantanni fa ma in Italia, dove ‘piace’ persistere, accade ancora oggi: un chiaro esempio è la scelta dell’attrice per interpretare Beth nel remake italiano di This is US – Angela Ciabuti. Vedi articolo – https://www.youmovies.it/2021/08/14/this-is-us-angela-ciaburri-beth/
[6] Joseph Asagai, “Well, let me see, I do not know how just to explain it. The sense of a thing can be so different when it changes languages.” (A Raisin in the Sun, 1959 Vintage Books, Reprint, Ed. Reissue 1994, pg.65) interpretato da Ivan Dixon (non sono riuscita a trovare il nome del doppiatore).
Riferimenti
raisin6018.org
6018north.org
Lorraine Hansberry, A Raisin in the Sun, 1959 (Vintage Books, Reprint, Ed. Reissue 1994)
Espérance Hakuzwimana Ripanti, E poi basta. Manifesto di una donna nera italiana, 2019 (People S.r.l., 2020)
Nina Simone, “To Be Young, Gifted and Black” 1969, scritta con Weldon Irvin
Langstone Hughes, “Harlem (A Dream Deferred)” ristampata in The Collected Works of Langston Hughes. Copyright, (Harold Ober Associates, Inc. 2002)
A Raisin in the Sun, 1961, diretto da Daniel Petrie (Columbia Pictures)
Un grappolo di sole, 1961, CEIAD (Golem video, 2019)
www.poetryfoundation.org
www.cinematografo.it
archivio.teatrostabiletorino.it
www.youmovies.it
www.nytimes.com
www.gttempo.it
www.corrierespettacolo.it